Il 7 maggio del 1624 arriva a Palermo, proveniente da Tunisi, il vascello della redenzione dei cattivi (riscatto dei cristiani prigionieri degli infedeli). Il Vicerè Emanuele Filiberto, contro il parere del Senato che sospettava che a bordo covasse la peste, ne permette l’attracco, “carico come era di mercanzie e ricchi doni a lui inviati dal Re di Tunisi”, la peste si diffonde in città.
La Biblioteca della Fondazione Sicilia, che si trova a Palermo all'interno di Palazzo Branciforte, possiede circa 50 mila volumi e svolge una funzione culturale di grandissimo rilievo.
Una ricca sezione è quella sulla storia della Sicilia, sulla Storia dell’arte, sulla Numismatica e sull’Archeologia.
Il Fondo librario antico della biblioteca è costituito da molte pubblicazioni stampate dal 1501 al 1830.
Sul soffitto della sala di lettura spicca un meraviglioso affresco di Ignazio Moncada di Paternò.
La festa di San Martino si celebra ogni 11 Novembre ed è una ricorrenza che in Sicilia è fortemente legata alla cultura contadina e a usanze eno-gastronomiche tramandate di generazione in generazione.
I detti “A San Martino ogni mustu diventa vinu” e “A San Martinu si vivi lu vinu” sono legati alla tradizione secondo la quale proprio intorno a questa festività il mosto si è finalmente trasformato in vino.
Si passa alla cosiddetta “svinatura”, si aprono le botti e a tavola viene servito il vino novello.
Dai racconti quotidiani di Andrea Camilleri, un estratto del "giorno dei morti"
Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari.
Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto.
Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca.
Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa.
Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo.